Viaggio alla scoperta dei luoghi testimoni del “beato” Simonino, un bambino presunta vittima di omicidio rituale ebraico, venerato per secoli come 'martire' innocente.

Archivio Museo Diocesano Tridentino

E’ il 23 marzo 1475, un Giovedì Santo dell’epoca dell’episcopato del principe vescovo Johannes Hinderbach (1466-1486): un bambino di tre anni, il piccolo Simone da Unferdorben, figlio di un conciapelli residente nella Contrada del Fossato nel punto in cui ora sorge Palazzo Bortolazzi scompare tra i vicoli di Trento. I sospetti cadono subito sulla piccola comunità ebraica ashkenazita residente a Trento, composta da circa 30 persone e presieduta da Samuele di Bonaventura. Si pensi che i forti sentimenti antiebraici dell’epoca dettati dalla “paura per il diverso” e rinfocolati dalle veementi prediche di fra Bernardino da Feltre contro la pratica dell’usura da loro esercitata, sfociavano in assurde dicerie come “l’accusa del sangue”: si riteneva che gli ebrei, nei giorni della Settimana Santa, rapissero ed uccidessero i bambini cristiani per scopi magico-religiosi quali l’utilizzo del sangue della vittima per impastare il tradizionale pane azzimo. Il giorno di Pasqua gli stessi Ebrei denunciano il ritrovamento del bambino in una roggia presso la sinagoga della città, ora occupata da Palazzo Salvadori, ed esplode l’odio contro i presunti carnefici nonostante i dubbi del papa e dei legati inviati per accertare la realtà dei fatti.

Viene istruito un processo che, basandosi su fragili testimonianze, presunte confessioni estorte attraverso la tortura e dubbie perizie mediche, porta alla confisca dei beni e alla condanna a morte degli esponenti della piccola comunità ebraica. Il corpo di Simone, presunto martire, viene deposto presso la vicina Chiesa di San Pietro; mentre il principe vescovo del tempo, Johannes Hinderbach, spera inutilmente di ottenere dal papa Sisto IV un riconoscimento ufficiale della santità di Simone, si sparge la voce di presunti miracoli (attestati nel registro “Liber Miracolorum”) e dilaga il fanatismo religioso avverso i “pericolosi” ebrei . In quegli anni la stampa arriva a Trento proprio col fine di alimentare i sentimenti antiebraici della popolazione attraverso la propaganda: le 12 xilografie dell’incunabolo “Geschichte des zu Trient ermordeten Cristenkindes” descrivono la presunta tortura inflitta al bambino.

Il “culto” di Simonino viene ufficialmente riconosciuto solo nel 1584; a quel punto Simone, il santo-bambino, diventa con San Vigilio co-patrono della città di Trento.

All’inizio del XX secolo iniziano importanti studi di intellettuali locali ed un complesso lavoro di revisione degli atti dei processi a favore della soppressione del culto del “beato”; finalmente, nel 1965, nell’ambito dell’emanazione del decreto del Concilio Vaticano II Nostra Aetate sui rapporti con l’ebraismo e le religioni non cristiane, esso viene ufficialmente abolito. A distanza di oltre 500 anni, la comunità ebraica viene finalmente riabilitata e si pone fine ad una delle pagine più buie della storia locale.

Presso il Museo Diocesano , che nel 2019-2000 ha dedicato a questa complessa vicenda la mostra “L’invenzione del colpevole”, si possono ammirare alcuni manufatti legati a questa figura.

In vicolo dell’Adige, nei pressi di Via Manci ed in corrispondenza dell’abitazione di Samuele da Bonaventura, che all’epoca dei fatti era il maggior rappresentante della comunità ebraica, nel 1992 è stata apposta una lapide con caratteri ebraici che riporta questa scritta: “In questo luogo/ove l’intolleranza ha scritto/una pagina buia nella storia dell’uomo/segnando col culto del piccolo Simone/un lungo dissenso tra gli ebrei e i cristiani/la città di Trento volle riparare/ponendo questa stele a futura memoria/ed a testimonianza di impegno fattivo/per la costruzione della pace e della tolleranza”.

Durata in ore
3 ore (inclusa visita al Museo Diocesano Tridentino)
Difficoltà
bassa

Immagini

Martedì, 19 Maggio 2020 - Ultima modifica: Mercoledì, 13 Aprile 2022

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